Opinione, cultura e stile di vita. Riflessioni coerenti per una efficace crescita personale. Appunti raccolti su un foglio di carta stropicciato ... on line ... il blog ufficiale di Carmine Misiano
martedì 22 dicembre 2015
Buon Natale a tutti
domenica 30 agosto 2015
Omaggio al "mio" capitano!
"Ma... Chi è quel ragazzino con la maglia numero quattro? Prendiamolo". Massimo Moratti, neo presidente dell' Inter se ne innamora subito, stregato da quel fenomeno che salta gli avversari in slalom: era un certo Javier Zanetti, arrivato in Italia, si narra, all'ombra di un certo Rambert, e il petroliere milanese ne fa il suo primo acquisto. Un treno su e giù per quella fascia, instancabile, generoso, un combattente nato. Imprendibile in progressione. Quel "ragazzino" sarebbe poi diventato un mito, una leggenda per il popolo nerazzurro...
Vent'anni fa il suo esordio in Serie A, il 27 Agosto 1995 per la precisione. Subito titolare a 22 anni e la maglia nerazzurra che diventa la sua vita e la sua storia. Da allora non ha più smesso di giocare negli undici iniziali: 858 presenze con l'Inter. Maglia numero 4, voto in pagella spesso 8, padrone della fascia destra, ma in grado di giocare anche a sinistra e da interno (rendimento assicurato). Soprattutto beniamino indiscusso dei tifosi interisti per 19 anni, e tutt'ora padrone assoluto dei cuori nerazzurri da vicepresidente.
Mascellone, gambe alla Rummenigge, mai una parola fuori posto. E poi l'incedere travolgente ma il piede educato, le caviglie che sembravano rotanti ma spesso la giocata semplice. Le scorribande, le sfuriate, le folate... insomma le azioni alla Zanetti, il " Trattore". Capitano sempre pettinato, interista totale. Se un infortunio non lo avesse frenato, probabilmente avrebbe giocato mille partite con la maglia dell'Inter. Ma qualche record lo ha fatto lo stesso...: giocatore interista con più presenze in assoluto, straniero con più presenze in Serie A, ma soprattutto capitano nerazzurro più vincente della storia con ben sedici trofei.
Ed io ero lì quella sera del 22 Maggio 2010 al Bernabeu quando alzò al cielo quella Coppa Campioni che ha consacrato lui e la "nostra" Inter.
lunedì 24 agosto 2015
L'eleganza non la compri
venerdì 21 agosto 2015
Io e la Selva
mercoledì 19 agosto 2015
L'invasione barbarica
lunedì 17 agosto 2015
Il Royal Warrant, tradizione e esclusività
L’idea che sta dietro al Royal Warrant è tanto antica quanto la monarchia inglese: sin dall’inizio, qualsiasi oggetto fosse destinato “all’uso regale” – dagli abiti alle corone, dalle marmellate ai prodotti per la pulizia – doveva essere della massima qualità. Il re poteva permettersi di ordinare le creazioni degli artigiani più stimati, essere sempre il primo ad ottenere i servizi e i prodotti più esclusivi e ambiti del regno, non doveva certo risparmiare… Ma la corte non era l’unica a trarre vantaggio da questo sistema: per commercianti e artigiani fregiarsi del titolo di fornitore della famiglia reale era motivo di orgoglio e anche di sicura fama. Significava procurarsi un vantaggio rispetto ai concorrenti, suggerire ai clienti che i propri prodotti erano i migliori di tutto il regno.
Il primo riconoscimento di questo rapporto avvenne nel dodicesimo secolo, durante il regno di Enrico II e nella forma del Royal Charter: un documento in cui la Casa Reale annotava il nome dei suo fornitori ufficiali. Il Royal Warrant così come lo conosciamo noi fu invece introdotto dalla regina Vittoria che nei suoi 64 anni di regno ne rilasciò a circa 2000 fornitori.
I Royal Warrants sono conferiti a persone o compagnie che abbiano regolarmente, ed almeno per cinque anni consecutivi, fornito, con prodotti o servizi, un membro della Casa Reale.
Oggi i Royal Warrant possono essere concessi solo da tre membri della famiglia reale (Sua Maestà La Regina Elisabetta II, Sua Altezza Reale Il Principe di Edimburgo e Sua Altezza Reale Il Principe di Galles) e sono soggetti a regolare revisione. Ogni membro della famiglia Reale può conferire un solo Royal Warrant per ogni singola tipologia di prodotto o servizio. Esistono rigide norme che regolamentano e notificano i Warrants e sono tutelate da un’apposita Commissione, il Royal Household Tradesmen’s Warrants Commitee.
Il riconoscimento ha inizialmente una durata di cinque anni, trascorsi i quali viene sottoposto nuovamente alla Commissione la quale per altro si riserva il diritto di revocarlo ogni qualvolta vengano meno le garanzie e le motivazioni che la hanno indotta a concederlo. Ogni variazione della compagine della azienda e delle sue politiche distributive e produttive è quindi sottoposta a rigidi controlli.
Solo le aziende che hanno ottenuto questo riconoscimento possono utilizzare la dicitura “By appointment…” e mostrare le Royal Arms, ossia lo stemma reale, nella loro carta intestata e sui propri prodotti.
Sarà Buongiorno o Buonasera?
Qual è l’arco di tempo, nel corso di una giornata, durante il quale è corretto salutare con “buongiorno” e da quando decorre il periodo di tempo nel corso del quale è corretto salutare con il “buonasera”?
Buongiorno e buonasera sono i saluti caratteristici della prima e della seconda parte della giornata. Non è possibile definire nettamente il momento in cui si passa dall’uno e all’altro saluto. Dipende da abitudini individuali o regionali.
In Toscana per esempio ci si saluta con il buonasera già dal primo pomeriggio, in Sardegna dopo aver consumato il primo pasto, quale che sia l’ora.
Buongiorno e buonasera derivano ovviamente dalle locuzioni buon giorno e buona sera. Entrambe le formule di saluto sono attestate per la prima volta nell’italiano scritto trecentesco e nell’italiano colloquiale esistono anche le forme ridotte giorno e sera.
Ma comunque sia, secondo voi, sarà un Buongiorno o una Buonasera?
venerdì 27 febbraio 2015
Mancio is back!
domenica 1 febbraio 2015
Benessere e rasatura
A causa dei ritmi frenetici della vita moderna, l’utilizzo di un rasoio tradizionale è però quasi un’arte scomparsa e lo stesso atto del radersi è diventato un fastidio e non si è piú padroni delle tecniche corrette...
Per fortuna, l’uso dei rasoi tradizionali sta ritornando. Ad un certo punto della loro vita, esattamente come è capitato a me, alcune persone capiscono che i risultati che si ottengono con i rasoi moderni non sono poi un gran cosa. Radersi utilizzando marche e prodotti ampiamente pubblicizzati in televisione o sulla stampa non porta allo stesso risultato soddisfacente che si riesce ad ottenere con i rasoi “classici”.
Posso confermare in base alla mia stessa esperienza che sono proprio contento di aver iniziato un bel giorno ad usare il pennello da barba con crema o sapone per produrre una schiuma ricca, lubrificante ed emolliente e ho abbandonato bombolette così come il rasoio multilama a favore di un rasoio di sicurezza. La profondità della rasatura e il senso di benessere nell’utilizzare questi prodotti desueti, provare i vari tipi di lamette, un balsamo dopo barba o semplicemente passare l'allume di rocca, è impareggiabile! Ma ancora meglio, il radersi è diventato un piacere a differenza di altre persone che lo considerano una seccatura o anche una pessima esperienza.
Certo, ci metto un po’ piú di tempo ma lo vale tutto. Molti dicono che non ne vale la pena. E perché no? Basta alzarsi da letto qualche minuto prima ma vi assicuro che il vostro umore sarà notevolmente migliore.
Inizia (forse) una nuova stagione
L'uomo e la barba
Da un po’ di tempo a questa parte sto dedicando un po' più di attenzione alla rasatura. Ma prima di intavolare discussioni su quest'arte da ultimo arrivato mi sembra il caso di soffermarci sulla storia della barba, e prendiamo spunto da una ottima esposizione raccolta su un sito specializzato.
In effetti in tempi antichi, e meno civili direi, la barba era piuttosto diffusa.
Per esempio un popolo che aveva il culto della barba era quello Assiro e poi Babilonese. Portavano lunghe barbe ricciole scurite e lucidate con olii profumati. In occasioni speciali usavano poi polvere d’oro o d’argento.
In Egitto era un simbolo divino e in definitiva di potere. I personaggi di alto rango si sbarbavano ma allo stesso tempo usavano barbe posticcie ritrovate con le loro custodie in numerose sepolture.
Anche i greci del periodo classico portano la barba. Personaggi come gli strateghi ateniesi Temistocle, Pericle o Milziade ma anche gli spartani Pausania e Leonida portavano una corta barba. Le cose cambiano con Alessandro Magno che vuole i suoi soldati ben sbarbati; non per motivi estetici o di igiene ma non vuole che la barba possa diventare un appiglio per i nemici durante le battaglie.
Sempre per motivi prettamente militari anche i romani si sbarbavano. La barba raccolta in occasione della prima rasatura veniva offerta alla divinità nella cerimonia della daepositio barbae. C’era un solo problema, i rasoi non erano un gran che. Usati a secco e poco affilati il radersi era praticamente una tortura e non di rado fonte di tagli e infezioni. Se l’imperatore Nerone già se la faceva crescere sul collo in quanto non amava che il coltello del barbiere (il tonsor) si avvicinasse a quella parte delicata del corpo, è solo con Adriano che prende il via una catena di imperatori barbuti presto imitati, con sollievo, dal proprio popolo.
Nel periodo medioevale la barba segnala le differenti fazioni religiose. Se in oriente gli islamici la portano in quanto si narra che Maometto fosse barbuto. In occidente, dopo lo scisma del 1035, diventa caratteristica degli Ortodossi mentre i Cattolici si sbarbano fino al sacco di Roma. È infatti papa Clemente VII che inaugura in segno di lutto una nuova serie di pontefici barbuti dopo che la città sacra è profanata dalle truppe lanzichenecche.
Poco piú tardi, nel `600, in Inghilterra prendono piede barba e baffi appuntiti che approdano anche sul continente un secolo dopo (la cosiddetta barba alla Van Dyke). In questo periodo nasce la mosca come simbolo di virilità.
Ma il vero secolo della barba e anche dei baffi è il 1800. Il ceto medio avanza e la tecnica ha fatto passi da gigante. I prodotti per la cura di barba e baffi sono alla portata di tutti e nascono numerose case produttrici tuttora attive. Se le basette vengono portate lunghe è ai baffi che viene portata maggior attenzione e cura. Diventano infatti imponenti e tipicamente arricciati all’insù. Di giorno ricevevano cure particolari con creme ed unguenti mentre di notte veniva applicato il piegabaffi, una striscia di stoffa che, attaccata alle orecchie, permetteva di tenerli distesi.
Ma già alla fine dell’800 barba e baffi hanno i giorni contati. Nasce il rasoio di sicurezza e un volto pulito ed onesto è alla portata di tutti. Il 900 e le esigenze militari (per indossare una maschera antigas ci vuole un volto ben sbarbato) diffondono questa tendenza che, salvo isolati periodi, è arrivata per fortuna fino ai giorni nostri.
Ed è proprio questa tipologia di rasoio, quello di sicurezza, che ho appena adottato, abbandonando il classico multilama molto pubblicizzato, assieme a sapone e pennello di tasso che mi stanno dando tanta soddisfazione in un momento, quello della rasatura, in cui ogni uomo dovrebbe dedicare un po' di tempo alla propria cura.
domenica 18 gennaio 2015
... mentre il cappello continua una grande storia!
Quella del cappello è una vita lunga quanto quella dell’uomo che lo ospita da sempre sulla propria testa. Presente in tutte le civiltá è un simbolo dalle molte valenze culturali, sociali, individuali; influenza i codici comunicativi, rappresenta visioni del mondo, è metafora di creatività.
Nell’antico Egitto il faraone ricopriva la parrucca con un berretto rosso o una tiara bianca. In Mesopotamia erano diffusi turbanti o berretti di pelliccia, così come nell’antica Palestina i sacerdoti ebrei indossavano un cappello conico bianco. Se nell’età minoica le donne cretesi idearono forme varie e bizzarre, nell’antica Grecia e nell’antica Roma l’uso del cappello perse d’importanza.
Durante l’Alto Medioevo gli uomini indossavano un grande cappuccio, detto almuzio, che ricadeva sulle spalle. Nel 1300, quando andò in disuso, fu sostituito con berretti di varia foggia, anche se patrizi e nobili rimasero fedeli al cappuccio che si arricchì della foggia, una falda che scendeva fino alla spalla e, dietro, di una punta di panno detta becchetto, lunga spesso fino ai piedi. La foggia poteva cadere a destra o a sinistra a seconda della posizione politica e sociale.
Proprio il ‘300 diede le origini al cappello moderno ed il Rinascimento elevò questa usanza grazie alla sontuosità dei materiali e delle forme usati. Nel ‘500 troviamo in Europa, splendidi copricapi. Venezia, accanto al corno dogale, ebbe il copricapo di panno rosso fasciato di pelliccia e ricadente sugli omeri in nappe. Napoli vide i suoi gentiluomini con berretti di velluto o con cappelli piumati. Milano usò velluto turchino con penne bianche.
Col sopravvenire della dominazione spagnola si diffonde ovunque l’uso di trine, medaglie e piume ad ornare cappelli che con l’introduzione delle parrucche, più tardi nel ‘700, assunsensero dimensioni sempre più mastodontiche.
Il 1805 vede la nascita di quello che si è affermato come il cappello da cerimonia per antonomasia: il famoso cappello a cilindro del cappellaio londinese Herrigton.
Nel ‘900 nacque le bombetta. La leggenda narra che Edward Coke commisionò a James Lock & Co, il negozio di cappelli più famoso di Londra, un copricapo più adatto ai guardiacaccia: quelli indossati fino ad allora offrivano, infatti, una scarsa protezione dai rami di alberi. James Lock rimbalzò la commissione ai fratelli Bowler che realizzarono il famoso cappello nero al quale diedero il loro nome: in inglese la bombetta si chiama, appunto, bowler. Il negozio James Lock & Co. è ancora là, al numero 6 di St. James Street e ancora vende alcuni tra i prodotti inglesi più tipici, fra cui il fairway: il berretto da campagna in tweed, il più autentico cappello inglese per gli amanti del genere.
Una menzione a parte merita il cosidetto cappello da cowboy, tipico dell’abbigliamento dei fattori dei ranch nell’ovest e nel sud degli Stati Uniti, del Canada e del nord del Messico. Questo cappello fu universalmente reso famoso nel 1865 da John B. Stetson, il marchio di cappelleria americana che continua a esistere nel solco della tradizione. Oggi Stetson spazia dai più classici modelli sportivi a quelli eleganti di gusto dichiaratamente rétro, oscillando tra i due estremi del copricapo dell’avventuriero di fine ‘800 a quello del gentlemen di città.
Il cappello non solo cela il capo: indossandolo il volto muta aspetto in un gioco di ammiccamento, seduzione, provocazione che lo rende davvero strumento magico. Mettersi il cappello, togliersi il cappello, cambiare cappello: gesti che si compiono anche per assumere ruoli diversi, per cambiare la propria immagine e forse le proprie idee!
Cappellerie, negozianti e produttori custodiscono in questo senso la tradizione del cappello come complemento dell’eleganza maschile e femminile, indice di personalità e di un’antica galanteria messa a dura prova dalle mode globalizzate.
Lo stile inizia dalle calze...
Le calze di un uomo dovrebbero essere sempre pregiate e ben tenute. Quando un gentleman risparmia sulle calze lascia pochi dubbi all’interpretazione: è quasi sicuramente un avaro. Sono un accessorio importante e spesso un brutto interlocutore per gli uomini. Il problema è sempre lo stesso. Le calze vanno abbinate alle scarpe o ai pantaloni? La soluzione ottimale sarebbe non abbinarle a nessuno dei due capi. Comunque nel dubbio, e in presenza di una spiccata pigrizia, meglio abbinarle ai pantaloni e come dicono gli inglesi play it save!L’ideale però sarebbe trattarle come dei pezzi di abbigliamento indipendenti. Quindi abbinarle alla cravatta o a un colore che si trova nel disegno della cravatta, al fazzoletto da taschino o meglio ancora alla camicia. Ma nessuno vieta di sceglierle anche in tono con il colore degli occhi della propria moglie, o al colore dell’amata Jaguar. Basta un po’ di buon senso e il gioco è fatto.
Non bisogna mai dimenticarsi delle occasioni però. La sera sono di rigore le calze nere di seta con lo smoking, per un meeting di lavoro con ospiti di altre culture meglio scegliere calze dai colori semplici come blu scuro con abito scuro, grigio con abito grigio o burgundi con abito marrone. Ma se si va a una partita di polo si può osare e abbinare le calze alla divisa della squadra del cuore. Poi ci sono però degli errori da non fare. Primo: indossare sempre le calze, soprattutto in città, evitando di fare la figura da hipster dell’ultima ora. Anche se la moda del momento vede eserciti di scalzi con derby ai piedi quasi fosse una virus dell’aviaria. Mai portare calzini di spugna bianchi a meno che non si è Paul Newman o Michael Jackson (bellezza e talento allo stato solido). Scegliere sempre calze e non gambaletti, vale a dire quelle cose orribili che arrivano a metà polpaccio. Non scegliere filati poco pregiati e poco assorbenti perché prima o poi le scarpe si tolgono e guai a chi si trova vicino a voi! Mai sceglierle delle misura unica, si arrotolano sotto i piedi, sporgono dal tallone della scarpa se son troppo grandi, in pratica sono fuori luogo.