Circa 7 anni fa, scrissi un post
La valle dell’olio su questo foglio stropicciato raccontando di Bagaladi, il paese che mi diede i natali, dove io ho trascorso la mia infanzia e dove mio padre mi parlava spesso dei suoi genitori, i miei nonni che purtroppo io non ho mai conosciuto e che appartenevano a due delle famiglie più importanti del paese, i Misiano e i Pannuti. Rimanevo sempre affascinato da questi ricordi e quando qualche giorno addietro ho letto una descrizione storica molto accurata di Bagaladi su un sito della Sovraintendenza mi è presa la voglia di volerlo condividere e citare testualmente. Buona lettura.
“Immerso nel verde degli uliveti, Bagaladi è situato su una collina ai piedi del Monte Sant’Angelo, a circa 450 metri s.l.m., ed è una delle due porte di accesso al Parco Nazionale d’Aspromonte.
Gli storici locali avanzano l’ipotesi che il centro sia stato fondato dopo il X secolo, in considerazione del fatto che il territorio di Bagaladi, Valle Tuccio, ospitava, secondo quanto tramandato dalle fonti storiche, numerosi monasteri basiliani: la Badìa di San Teodoro in prossimità dell’attuale centro abitato; il Monastero di S. Angelo e quelli di S. Fantino e S. Michele.
Il borgo si adagia ai piedi di Monte Sant’Angelo, così chiamato per l’esistenza del monastero di San Michele Arcangelo, l’Archistratega. Nell’XI secolo il centro monastico, detto anche ta Kampa “i Campi”, era così importante da vantare il titolo di archimandritato.
Nella sua chiesa si conservarono, fino nel XVII secolo, le reliquie di San Gerasimo, un monaco morto nella valle il 25 Aprile 1180. Potrebbero provenire da questo edificio sia l’icona della Madonna con Bambino e San Gerasimo, sia la scultura di San Michele, (oggi custodite nella Fondazione del Piccolo Museo San Paolo di Reggio Calabria) databili, la prima tra Quattro e Cinquecento, e la seconda al XVII secolo. Dal Tardo Medioevo fino al 1806, Bagaladi fu compreso nel feudo di Amendolea.
Bagaladi conserva due pregevoli scultore marmoree: il gruppo dell’Annunciazione della Vergine, commissionato nel 1504 ad Antonello Gagini dal presbitero greco Iacopo Virducio ed un Crocifisso, riferibile molto probabilmente alla medesima bottega. Le opere furono trasportate nel 1908 dalla chiesa dell’Annunziata alla chiesa parrocchiale dedicata a San Teodoro, il santo guerriero che, insieme a San Giorgio e l’Arcangelo Michele, proteggevano i bizantini di Valle Tuccio dagli Arabi.
Il nome Bagaladi sembra derivare da Bagalà che con tutta probabilità era un cognome reggino (forse dall’arabo Baha’ Allah, “bellezza che viene da Dio”) con l’aggiunta del suffisso -adi, dal greco ades.
L’insediamento è di probabile origine araba.
Bagaladi ebbe un peso notevole in epoca normanna ed in epoca sveva, per una serie di privilegi feudali accordati.
Alcuni documenti del periodo normanno, confermano l’esistenza di possedimenti nella Vallata del Tuccio sin dal 1095 che successivamente furono donati all’Archimandrita del San Salvatore di Messina.
Nel secolo XIII gli Angioini annoverano la Vallata del Tuccio fra le sei signorie ecclesiastiche calabresi che diventò quindi feudo, compreso nella baronia di Guglielmo di Amendolea. In un secondo tempo il feudo passò agli Abenavoli e a Bernardino Martirano per essere poi acquistato dai Mendoza che nel 1624 lo vendettero ai Ruffo di Scilla i quali lo tennero fino all’eversione napoleonica del 1806.
Fra gli abitanti illustri di Bagaladi c’è il pittore Nunzio Bava, il maggiore esponente del verismo calabrese del Novecento. Tra le sue opere si annoverano quattro grandi composizioni d’arte sacra per la Cattedrale di Reggio Calabria; altre sue opere sono presenti nel Santuario di San Paolo, nella Chiesa del Carmine e nella Cattolica dei Greci di Reggio Calabria.
Camminando per le viuzze del borgo, che confluiscono tutte nella piazza centrale, incontriamo la chiesa di San Teodoro e della Santissima Annunziata, edificata nel 1933 in sostituzione delle due chiese distrutte dal terremoto del 1908. Essa custodisce al suo interno due opere: lo straordinario gruppo marmoreo dell’Annunciazione, realizzato nel 1504 da Antonello Gagini con il marmo bianco di Carrara e un crocifisso marmoreo del 1500. Rilevanti anche le antiche campane che pare siano state rinvenute tra le rovine di una delle laure dei santi eremiti di Valle Tuccio.
Da visitare anche Palazzo Pannuti, Palazzo Misiano, il centro storico e nei dintorni i mulini ad acqua, i frantoi e le case coloniche databili tra ‘700 e ‘800.
Fiore all’occhiello del borgo è l’antico Frantoio Iacopino oggi Porta del Parco Nazionale dell’Aspromonte, frantoio tra i più importanti della zona nonché il primo a utilizzare l’acqua come forza motrice. Totalmente ristrutturato, ospita oggi al suo interno il museo dell’olio, che custodisce un prezioso frantoio grimaldiano con ruota idraulica il cui funzionamento viene illustrato da un esperto.
Presso la Porta del Parco è disponibile un centro informazioni dove vi è la possibilità di scoprire i sentieri che portano alla scoperta dei ruderi degli antichi cenobi dei santi italo-greci.
Vi è inoltre una bottega artigiana dove si lavora la creta come da antica tradizione e dove si possono ammirare e acquistare prodotti fatti a mano.”